Lo storytelling è come un farmaco: veleno che cura, cura che avvelena. Mafe de Baggis
Da Etimo.it
Usare con moderazione? Naaa.
Sono stata ad un corso bellissimo. Sapevo che sarebbe stato bello, perché l’ho scelto con cura, ho cullato l’aspettativa, ingrassato il porcellino e poi l’ho rotto, ma con grazia. Ed eccomi qua: due giorni a Milano, al Digital Update Storytelling e content strategy.
Potrà sembrare banale, ma io sono una ragazza (?) di provincia, mamma di infante piccolissime. Per me due notti fuori, in una grande città, senza famiglia, sono state una grande avventura. Un viaggio.
Docenti: Mafe de Baggis, Annamaria Anelli, Alessandra Farabegoli. Con raffinate incursioni di Filippo Pretolani (Gallizio) e l’amorosa presenza di Gianluca Diegoli. Cerco di fermare qualcosa di questi due giorni ricchissimi, quasi per screenshot.
Che poi noi abbiamo scritto storytelling, ma la parola giusta è narrazione. Qui non parleremo di digitale o di Facebook o di come si scrive sul web. A noi interessano le storie e come si possono narrare, quelli sono solo mezzi. Il digital non ha cambiato la sostanza: ha reso le cose più facili, ha reso visibile l’invisibile. Ha portato alla consapevolezza della necessità di narrarsi in modo coeso e coerente: siamo tutti autori, lo strumento ha solo portato in luce quanti siamo. Mafe de Baggis.
Alessandra ha esordito parlando di evoluzione della specie.
style=”text-align: left;”>{Flashback. Ho 19 anni, sono alla mia prima lezione al nuovo corso di laurea in Scienze della Comunicazione. La prima lezione è Semiotica. Il primo professore che incontro è Umberto Eco e parla ininterrottamente – per due ore – di DNA, RNA, evoluzione. Di giraffe e ornitorinchi.
Allora capii poco. Alla fine del corso fu tutto chiaro. A distanza di 20 anni da quel giorno è tutto chiarissimo, tutto si incastra e si ricollega.}
L’evoluzione funziona più come un bricoleur che come un ingegnere: va per tentativi. Comunicare è una capacità strategica importante, lo è stata sicuramente per i nostri antenati. Raccogliere un seme e pensare che forse non va mangiato così, ma bisogna aspettare, oppure cuocerlo: questa è capacità di immaginazione.
Vediamo un ramo rotto, capiamo che è successo qualcosa: pensiamo alle possibili cause, questa è già narrazione. Interpretare i fenomeni naturali ha portato alla creazione di miti, che hanno una funzione sociale importante di coesione e trasmissione del sapere. Anche se tecnicamente è un racconto “sbagliato”.
Siamo qui, siamo così, perché la natura ha selezionato quelli che avevano capacità di immaginazione e talento nel narrare, che si traduce nel saper fare le cose e nel saperlo insegnare alle generazioni successive.
Forse non è tanto giusto dire che la natura ha selezionato. È più corretto dire che coloro che hanno capacità di questo tipo si riproducono più facilmente.
Ed ecco spiegato perché lo storytelling è ora di gran moda: aiuta a rimorchiare. [Non cito nessuno, in genere le stronzate sono le mie]
Se aiuta a rimorchiare, allora aiuta anche a vendere: attira l’attenzione e seduce, che è quello che una comunicazione/pubblicità dovrebbe riuscire a fare.
Quella per la lingua, per le storie, per la narrazione, non è una cotta: è amore. Dopo 35 anni di pratica, direi che è una storia seria. Ecco perché a un corso così io mi sono sentita felice. Perché nonostante abbia tante conoscenze sull’argomento ho scoperto cose nuove. Ho collegato puntini che credevo lontani, e invece era lapalissiano che stavano a un solo passo, a un pixel di distanza. Tutto è lapalissiano con il senno di poi.

Questo corso è stato un viaggio bellissimo: partito dalle pitture rupestri, è passato dai modelli della comunicazione che ho imparato a scuola (Shannon&Weaver, Roman Jakobson), ha accarezzato Propp, salutato Hemingway e Spike Lee, strizzato l’occhio a Quintiliano (ma anche a Socrate e Platone).



Un viaggio anche dentro la mente: cosa succede dentro di noi quando ci raccontano una storia? La scrittura non è una cosa naturale e ha una storia recente. Oralità e immagini sono più congeniali al nostro cervello. Per quello i video funzionano così bene.

Annamaria poi aveva preparato slide bellissime: mappe mentali colorate, pensate per strutturare l’argomento in una sola pagina, in una sola immagine. La nostra mente non è lineare, non pensa per elenchi puntati, ma per ramificazioni. Per link.

E ancora: un viaggio non è tale se non ha salti nel vuoto. Salti che colmi con le tue conoscenze, che costruiscono ponti su isole altrui. Di modo che la tua storia non è più solo la tua, ma è la storia anche di chi legge. Per questo bisogna essere anche consapevoli non solo di quello che si dice ma anche di ciò che non si dice: il non detto spesso traccia i binari di un sottotesto che può essere malinterpretato (o interpretato benissimo) e di cui dobbiamo essere consapevoli. Anche gli spazi, quindi, vanno gestiti.
Informare, comunicare, raccontare. Tre livelli diversi. Tre modi diversi di dire le stesse cose. Nella comunicazione dei social, del web (ma anche nel modo in cui ci sediamo ai tavolini del nostro bar) lo stile che diamo ai nostri discorsi dà forma alla relazione: se ci sediamo con i piedi sul tavolo non dobbiamo lamentarci se poi chi viene a prendere il caffè butta la carta per terra. [Mi viene in mente la teoria della finestre rotte].
L’importanza del framing. La magia del raccontare: la sospensione dell’incredulità e la trance narrativa.
E poi ancora: come si costruisce una storia. Annamaria evoca il mio amato Robert McKee: gli elementi indispensabili di una storia, i personaggi che “funzionano”, selezionare gli eventi significativi, il cambiamento, il conflitto.
Le esercitazioni: il primo giorno, un esercizio di osservazione e interpretazione psicologica del personaggio, fatto su una persona reale, un compagno che non si conosce. Un po’ come quando ti fai i film sulla signora seduta di fronte a te sul treno.
Il secondo giorno, quello stesso compagno ti scatta una foto profilo e scrive una piccola bio su di te, e tu fai uguale per lui. Un esercizio di narrazione sull’altro ma anche un esercizio zen su di te. Mi sono trovata per un attimo nei panni del “cliente” e mi sono sorpresa nell’essere terrorizzata a lasciare la “mia” comunicazione in mano a un altro, una persona che non mi conosce. È stato difficile. Come quegli esercizi in cui ti lasci andare nel vuoto sperando che il compagno dietro di te ti prenda. Esercizi sulla fiducia si chiamano, giusto?
Ho appena finito il #digitalupdate storytelling – meraviglia – e sul treno c’è Annamaria Testa. Son morta e questo è il paradiso dei copy.
— Silvia Siro Versari (@SilviaVersari) 2 Ottobre 2014
Alcuni consigli di lettura:
Rappresentazione e realtà. Consiglio di lettura di @alebegoli al #DUstorytelling: Proust e il calamaro. pic.twitter.com/0g3EDBWZcF — Silvia Siro Versari (@SilviaVersari) 2 Ottobre 2014
Ancora consigli di lettura al #DUstorytelling: I trucchi della mente e The storytelling animal. pic.twitter.com/7og4u9UjFY
— Silvia Siro Versari (@SilviaVersari) 2 Ottobre 2014
Mi par chiaro e superfluo dire (ma lo sto facendo) che è un corso che assolutamente consiglio. Se vi interessa ce n’è già un altro in programma per febbraio.

L’ha ribloggato su TC espressoe ha commentato:
Lo storytelling è come un farmaco: veleno che cura, cura che avvelena. Mafe de Baggis